Islam Shehu
La guerra è una tragedia che provoca dolore, morte e distruzione. Tuttavia, per quanto possa apparire strano, anche durante un conflitto ci sono delle regole da rispettare: chi non lo fa commette un crimine di guerra, un reato molto grave perseguito dal diritto internazionale.

Secondo il diritto internazionale – ossia l’insieme di regolamenti che vengono applicati non dai singoli Paesi (che possono avere norme diverse da nazione a nazione), ma dall’intera comunità internazionale (e quindi valgono per tutti)- il crimine di guerra è un atto che viola le leggi del diritto bellico e chi lo compie viene identificato personalmente come criminale di guerra.

Esempi di crimini di guerra sono l’utilizzo di armi vietate, saccheggi o il maltrattamento (o tortura) dei prigionieri.

Benché possa sembrare un concetto poco piacevole, la guerra in sé non è reputata un crimine dalla politica internazionale. Infatti, nonostante oggigiorno la maggior parte delle istituzioni e dei governi preferisca evitarla ad ogni costo, quella dello scontro militare tra due o più nazioni rimane sempre un’eventualità possibile, anche se non auspicabile. Dopotutto nella storia dell’umanità si sono sempre combattute guerre per le più svariate ragioni.

Tuttavia nemmeno quando uccidere e arrecare danni a un Paese è nell’ordine delle cose, tutto è lecito: ci sono delle cose che non si possono fare. Tali limiti sono sanciti dal diritto bellico (dal latino bellum, “guerra”), un’insieme di codici che regolamentano il comportamento adottato dagli Stati e le istituzioni coinvolte in un conflitto. Tali leggi sono state scritte sulla base dei principi di rispetto e tutela della dignità e della vita umana.

Durante un’operazione militare, ad esempio, se è assolutamente “previsto” che i soldati ammazzino altri soldati, in caso di resa del nemico il vincitore dovrebbe però limitarsi a prendere in custodia gli eventuali prigionieri, senza torcere loro un capello. Qualora invece i nemici venissero uccisi o torturati, l’autore dell’ordine potrebbe essere processato per crimini di guerra.

Nei Paesi che si consideravano “civili”, il rispetto del nemico (il cosiddetto onore delle armi) è sempre stato un valore di un certo peso. Perfino nelle Crociate, quando l’odio religioso portava spesso a massacri e spargimenti di sangue, era buona consuetudine che almeno i prigionieri di un certo rango come nobili e ricchi dignitari venissero trattati con ogni riguardo e liberati sotto pagamento di un riscatto.

Già nella seconda metà dell’Ottocento vennero stipulati i primi trattati della celebre Convenzione di Ginevra, un insieme di norme aggiornate nel corso degli anni che tutt’ora proteggono e assicurano il rispetto del personale civile (es. giornalisti) e di quello medico non coinvolto negli scontri. Uno degli effetti più conosciuto di simili convenzioni fu, ad esempio, la regola di non attaccare mai coloro che portavano soccorso ai feriti, contraddistinti dall’iconica fascia bianca con croce rosse avvolta intorno al braccio.

Durante le due guerre mondiali però le cose sembrarono cambiare: il nemico non era più solo un avversario da sconfiggere, ma da sottomettere e spazzare via dalla faccia della Terra. Ciò portò a indicibili orrori che tutti ben conosciamo (l’Olocausto, la guerra combattuta con armi chimiche, lo sterminio di massa di prigionieri e popolazione civile ecc..) e al termine del secondo conflitto mondiale, le varie nazioni del pianeta iniziarono a delineare organi e leggi per porre dei limiti anche in caso di episodi bellici.

Oggi quindi, dopo decenni di lavori e trattative culminati con l’approvazione nel 1998 dello Statuto della Corte Penale Internazionale (o Statuto di Roma), è la Corte penale internazionale dell’Aia (città nei Paesi Bassi) il tribunale di competenza per i crimini internazionali che violano i codici di condotta da tenere durante le operazione belliche. In realtà un ruolo analogo è ricoperto dalla Corte internazionale di giustizia dell’Onu (anch’essa situata all’Aia), che però è un organo a sé e giudica l’operato dei Paesi e non dei singoli individui, come invece fa la Corte penale.

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